INDICE

Avanti >>

.

L'ABBAZIA DI S. ANGELO AL MONTE RAPARO

Scendendo dalla Val d'Agri, subito dopo la diga del Pertusillo, si incontra il bivio per S. Martino d'Agri, Castel Saraceno, S. Chirico Raparo. Proseguendo in questa direzione e lasciando alle spalle S. Martino, a circa una decina di chilometri da S. Chirico appaiono, già visibili dalla Statale, circondati da una fitta rete di impalcature, i ruderi dell'Abbazia di S. Angelo.
Il 2 dicembre 1996 il Consiglio Regionale di Basilicata, dimostrando ancora una volta una grande sensibilità nei confronti di quelle che sono le emergenze storico-culturali della nostra regione, ha approvato l'acquisto dell'Abbazia di S. Angelo, nel Comune di S. Chirico Raparo.
L'intento è quello di farne un centro di studi con particolare riguardo a quelli della storia del monachesimo basiliano del mezzogiorno, cercando, nel contempo, di valorizzare una struttura di grande rilevanza artistica.
I ruderi di quella che fu la potente Badia di S. Angelo sul Monte Raparo, infatti, si impongono alla attenzione non soltanto dello studioso, ma anche di un visitatore meno esperto: ubicata a 6 km dal paese, presso la fonte Trigella, fu sede di un importante cenobio italo-greco, poi passata ai benedettini ed abbandonata definitivamente agli inizi del 1700; costituisce uno degli esempi più significativi dell'architettura basiliana dell'intera Italia meridionale.
L'Abbazia, quasi completamente in rovina, è costruita su di una grotta naturale di notevoli dimensioni, fra le più grandi della Basilicata; i primi restauri, ad opera della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici della Basilicata, sono incominciati intorno alla metà degli anni '80; fortunatamente dell'intero complesso ci sono rimasti una dettagliata descrizione del Berteaux, ed i rilievi e le fotografie del Bals.
La prima fase del culto si riferisce proprio alla vasta grotta sottostante, di formazione carsica, di notevole rilievo sia dal punto di vista geologico che architettonico: presenta infatti, formazioni di stalattiti e stalagmiti di grandissime dimensioni, vasche e sifoni alimentate dalle nevi del Monte Raparo oltre che l'insediamento della più grande colonia di pipistrelli della regione.
Al suo interno si conservano anche affreschi con pitture di santi dell'inizio dell'XI secolo (all'ingresso della grotta naturale sono ancora oggi leggibili tracce della raffigurazione di un Arcangelo) e i resti di costruzioni; queste ultime si riferiscono alla cappella di S. Vitale, di cui la grotta sotterranea è stata la dimora, al suo arrivo profugo dalla Sicilia nel X secolo, per sfuggire alle persecuzioni dei Saraceni.
La chiesa sovrastante è ad una navata absidata; sulla fronte si apre il portale ad ogiva, decorato con una semplice arcata in ritiro, poggiata su due mensole piatte. All'interno i lati lunghi sono rinforzati da pilastri molto avanzati che, collegati tra loro per mezzo di archi, formano quattro cappelle per ogni lato; purtroppo dell'altare si conservano solo pochi resti antistanti l'abside. La copertura è costituita da volta a botte e tetto a due spioventi; su di esso si erge un grande tamburo cilindrico, decorato con arcate cieche ed in cui si aprono quattro finestre; al di sopra era impostata la cupola, con tetto a calotta all'interno e struttura esterna a gradoni, realizzati con successive riseghe ricoperte di tegole, purtroppo crollata nel primo dopoguerra.
Il tamburo si lega al quadrato di imposta mediante trompe d'angolo, secondo un sistema utilizzato nella architettura sassanide, anatolica, siriaca ed egiziana, in luogo dei pennacchi sferici più diffusi nell'ambiente costantinopolitano; la particolare decorazione architettonica ad archeggiature cieche richiama invece alcuni esempi bizantini della seconda età aurea (867-1204), quali la cupola del convento di Myrelaion (Budrum Carni), S. Teodoro (Kilisse Carni), in Redentore di Chora, Costantinopoli, anche se tali monumenti presentano un diverso rapporto con la cupola e l'impiego del cotto, assente invece nel tamburo di S. Angelo al Raparo.
In generale le analogie più stringenti si ritrovano nelle chiese di Puglia e Calabria, quali quelle di S. Filomena in S. Severina, SS. Nicola e Cataldo a Lecce, Cattedrale di Taranto, S. Pietro di Frascineto, S. Anna di Palizzi Superiore.
Di particolare interesse era la decorazione pittorica, di cui ci sono giunti purtroppo solo pochi frammenti, i quali potrebbero essere messi in relazione, secondo D'Elia, con il ciclo di affreschi deutero-bizantini della Cattedrale di Anglona a Tursi; il Bals ricorda due strati di affreschi: il primo raffigura una "Diesis", accompagnata da altre due scene tipiche dei santuari bizantini, cioè la comunione del pane (metadosis) e la comunione del vino (metaleipsis), composizioni identiche a quelle presenti nelle chiese dell'XI secolo di S. Michele e Santa Sofia di Kiev.
Le pitture del secondo strato, visibili soltanto nella parte inferiore dell'abside, raffigurano due file di Santi Vescovi, ciascuna composta di quattro personaggi in homophorion che recano cartelli con versetti di Salmi.
Questi dipinti sono riferibili al cosiddetto "Stile dell'Athos", e risalgono al XIV-XV secolo.
La chiesa può essere considerata una basilica a cupola, ed è la testimonianza dell'introduzione in questa zona di una tipologia già sviluppatasi in Asia Minore. In particolare il Millet riferisce la costruzione a scuola locale, fiorita al di fuori della cerchia dell'arte ufficiale di Costantinopoli, passata poi a Creta ed importata quindi in Italia dai Monaci Basiliani.
Orsi e Cappelli, con i quali concorda anche il Berteaux, riportano l'impianto al X secolo, basandosi sulla agiografia di S. Vitale; il Venditti la colloca invece alla prima metà dell'XI secolo, mentre Bals non la ritiene anteriore al XII secolo.
Per quest'ultimo studioso essa costituisce uno dei monumenti superstiti delle quattrocento e più chiese bizantine che esistevano nella regione fino al XIV secolo, a testimonianza di quanto profonda fosse stata l'influenza greca nell'Italia Meridionale.



Bibliografia
S. BALS, S. Angelo a Monte Raparo (Basilicata), in Ephemeris Dacoromana, V, 1932, p. 35 ss.
E. BERTEAUX, L'art dans l'Italie meridionale, Parigi 1904, p. 122.
P. R. CASALNUOVO, Tracce e riflessi del monachesimo italo-greco sulla fascia ionico-lucana, Studi Lucani, Galatina, 1976.
N. CILENTO, Segni e sopravvivenze della Lucania bizantina, in Quaderni di vita culturale, n. 2, Matera 1980.
M. D'ELIA, Un profilo dei Beni Artistici e Storici della Basilicata, in la Lucania e il suo patrimonio culturale, Roma 1991, p. 45 ss.
O. ETTORRE, Fonti per lo schedario e la storiografia delle badie di Basilicata dell'ordine benedettino, Matera 1987, p. 9, s.v. Castelsaraceno, n. 31.
H. HOUBEN, Monasticon Italiae III, Puglia e Basilicata, Cesena 1986, p. 215.
E. MAGALDI, Una grotta, una fonte, una badia, in le vie d'Italia, XXXV, 1929, pp. 956-957.
A. MEDEA, Resti di un ciclo evangelico, in Archivio Storico Calabria e Lucania, Roma 1962.
P. ORSI, in Bollettino d'Arte, 1922, p. 554.
G. PALADINO, La Badia di S. Angelo al Raparo in Basilicata, in Bollettino d'Arte, XII, 1919, pp. 57-60.
A. VENDITTI, Architettura bizantina in Italia meridionale, Napoli 1967, p. 879 ss. (con bibl. precedente).



tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie

Autore: Testo di Elisabetta Setari - Rocco Verrascina

 

[ Home ]  [Scrivici]